Ultime sentenze sull’acquisto di un immobile proveniente da donazione

Quando si parla di immobili provenienti da donazioni, la questione può diventare, nel corso del tempo, molto spinosa.

In effetti, la pratica di intestare una casa ai propri figli non è esente da rischi, pur comprendendo diversi vantaggi: se da un lato, infatti, si può approfittare di imposte parecchio scontate e dell’impossibilità del pignoramento, dall’altro bisogna tener presente che l’usufrutto legale della residenza si perde al raggiungimento della maggiore età del figlio che, in casi limite, potrebbe anche decidere di sfrattare i genitori. A questa evidenza, tuttavia, si può ovviare con una specifica clausola del contratto di donazione, quella “della riserva di usufrutto” che garantisce ai genitori la residenza sino alla morte.

Da tenere presente anche che esistono due tipi di donazione:

  • quella diretta, per la quale ci si priva della proprietà di un bene a favore del donatario senza percepire alcun corrispettivo;
  • quella indiretta, in cui  l’obiettivo viene raggiunto tramite acquisto da parte del donante dell’immobile, che viene poi intestato al donatario.

Al netto di tutto questo, ci sarebbero una serie di altri casi da vagliare.

Ad esempio, la Cassazione ha stabilito che l’acquirente di un immobile che abbia già firmato il compromesso ha il diritto di tirarsi indietro dalla vendita e di recedere al contratto nel caso in cui venga a sapere, solo in un secondo momento, che si tratti di un immobile proveniente da una donazione; questo per evitare che, proprio grazie alla normativa riguardante questo segmento specifico del settore immobiliare, entro 10 anni dalla morte del donante – e non oltre 20 dalla donazione – la casa possa venir revocata dalla vendita dagli eredi.

In questo modo si prevengono anche tutte quelle situazioni di difficile risoluzione per le quali il venditore sarebbe tenuto a corrispondere all’acquirente tutto il denaro investito nella casa.

Ma si può vendere, invece, un immobile ricevuto in donazione?

 

Cosa dice la Cassazione

Innanzitutto va segnalato che, in tema di preliminare di vendita, se la casa oggetto della transazione provenisse da una donazione deve essere tassativamente segnalato ai potenziali acquirenti: questo proprio da normativa, trattandosi di una circostanza che influisce pesantemente su sicurezza, stabilità e potenzialità dell’acquisto stesso.

In particolare, secondo quanto emesso da alcune Corti di Cassazione del 2019, si è stabilito che:

  • proprio per quanto affrontato sinora, in fase preliminare di compravendita l’acquirente può rifiutare la stipula definitiva per scongiurare pericoli concreti di evizione del bene;
  • in materia di disciplina del recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, si consente il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente; occorre, quindi, una valutazione comparativa del comportamento di entrambe le parti per stabilire quale abbia fatto venir meno l’interesse dell’altro;
  • la violazione di un accordo relativo ad un contratto preliminare di preliminare è idonea a fondare una responsabilità contrattuale da inadempimento di una specifica obbligazione sorta nella fase precontrattuale;
  • non è sufficiente l’inadempimento ai fini della legittimità del recesso, poiché occorre anche la verifica dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale (il nesso di reciprocità che lega le prestazioni in un contratto a prestazioni corrispettive);
  • per tutelare anche i contratti preliminari, in caso sussista un pericolo di evizione in relazione al bene oggetto di un preliminare di permuta, all’eventuale parte lesa è concessa la facoltà di rifiutarsi di concludere il contratto definitivo fino all’eliminazione del suddetto rischio o di concludere il contratto sospendendo la controprestazione o eseguendola con modalità idonee per i suoi obiettivi di sicurezza.

 

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