L’isola della Gaiola: tra storia e leggenda

  • di Simona Vitagliano
  • 5 anni fa
  • Napoli
  • 1

A pochi metri dalla riva, immersa in quel mare blu che avvolge la costa di Posillipo, l’isola della Gaiola appare così innocua, gentile, pur nella decadenza della villa che ospita, quasi fatata. Tutto cambia, però, con le luci del tramonto, quando i colori cedono il posto alle ombre e quelle strutture abbandonate allungano la loro aurea misteriosa sul perimetro roccioso. Si ha subito l’impressione di non essere più al sicuro, che l’incanto sia svanito, che sia meglio andare via.

Questo nugolo di sensazioni è proprio il riassunto perfetto della storia di questo pezzo di terra così particolare del panorama flegreo.

Origini e storia

Non tutti sanno che il nome di quest’isolotto non è sempre stato quello che conosciamo oggi. Da alcuni scritti di Giulio Cesare Capaccio – teologo, storico e poeta italiano del Regno di Napoli -, infatti, emerge che inizialmente la Gaiola (che, in realtà, è un mini arcipelago formato da due isolotti e un grosso scoglio) venisse appellata come Euplea, riferendosi ad “Afrodite Euploia” (Venere), patrona della navigazione, di cui l’isola pare ospitasse addirittura un antico tempio.

Ma di quel tempo fatto di benedizioni e buoni auspici è rimasto davvero poco ai giorni nostri, se non nulla. Le sciagure e le catastrofi che hanno costellato chi ha abitato la villa adagiata sul piccolo promontorio sono inenarrabili.

Ma andiamo con ordine.

Partiamo, innanzitutto, dall’etimologia: da dove arriva questo nome così particolare?

Ogni napoletano che si rispetti avrà sicuramente associato la parola “Gaiola” al termine dialettale utilizzato per dire “gabbia”, appunto, “cajola“: in effetti, alcuni esperti punterebbero proprio su questa spiegazione, visto che alcuni resti e ruderi presenti sull’isola fanno pensare proprio ad una specie di gabbia.

Altri, però, sono convinti che ci sia attinenza con il fatto che, in età medievale, il termine Gajola indicasse un’isoletta piatta: era proprio un comune termine geografico minore del tempo.

Ma non finiscono qui le congetture che ruotano intorno a questo piccolo lembo di terra. Si pensa, infatti, che originariamente fosse il naturale prolungamento del promontorio che vi si trova di fronte e che la separazione sia stata ottenuta artificialmente, espressamente voluta da Lucullo, il militare e politico romano che, tra i suoi vari possedimenti, aveva anche delle incredibili ville a Napoli (dove morì), dotate persino di laghetti pieni di pesci e di moli che si protendevano sul mare (da qui il modo di dire moderno “pasti luculliani” che si riferisce ai suoi antichi banchetti, abbondanti e deliziosi).

Nel XVII secolo la Gaiola doveva apparire come un agglomerato di fabbriche romane e solo due secoli dopo conquistò il suo ruolo nella difesa del golfo. All’inizio del XIX secolo, invece, era abitata da un eremita (“Lo Stregone”) che viveva sostanzialmente dell’elemosina dei pescatori, anche se formalmente era proprietà dell’archeologo Guglielmo Bechi, che l’aveva acquistata, nel 1820, assieme a parte del promontorio.

Nei nostri anni ’20, da ricordare, era anche in funzione una teleferica che la collegava alla terraferma.

La maledizione

Si dice che la maledizione della Gaiola sia cominciata proprio ai tempi di Publio Vedio Pollione, che finì i suoi giorni poco più su, nella villa imperiale che fece costruire per lui nell’attuale zona del Parco Archeologico del Pausilypon, poiché era sua abitudine gettare schiavi vivi in una vasca d’allevamento per murene scavata nel tufo. Anche Virgilio avrebbe la sua parte di responsabilità, con gli incantesimi a cui avrebbe dato luogo nella sua scuola (i cui resti sono ancora visibili sulla costa posillipina) e che avrebbero “contaminato” le acque circostanti.

Ma per arrivare a quanto è successo negli ultimi due secoli dobbiamo andare avanti nel tempo al 1874, quando l’isola venne venduta a Luigi de Negri, proprio colui che fece erigere la villa che vediamo ancora oggi dominare il suo skyline, che finì in bancarotta per fallimento.

Rimessa in vendita, la dimora conquistò un nuovo proprietario, detto il Marchese del Tufo, che sfruttò la zona per una cava di pozzolana, arrecando notevoli danni ai resti archeologici presenti. La villa era incredibile, unica nel suo genere, attirando e accendendo i desideri di tantissime celebrità che vollero visitarla e persino comprarla ed abitarla per godere della posizione privilegiata che offriva: fu proprietà del celebre scrittore Norman Douglas e della famiglia del senatore Paratore che, però, visse sulla terraferma, assistendo, si dice, ad una lunga serie di naufragi all’interno della baia (nel 1911, tra le secche della Gaiola, ad esempio, si arenò l’incrociatore San Giorgio pilotato dal marchese Gaspare Albenga).

Negli anni ’20 arrivò la volta dello svizzero Hans Braun, che fu trovato morto, con il cranio trapassato da un proiettile, e avvolto in un tappeto; la moglie annegò, poco dopo, proprio utilizzando la teleferica sopracitata, a causa del cedimento del cavo; il suo spirito, per molti, alberga ancora in quelle acque. Successivamente la proprietà passò al tedesco Otto Grunback, morto d’infarto proprio mentre soggiornava nella villa. Il chimico e scrittore Maurice-Yves Sandoz, invece, morì suicida in un manicomio in Svizzera, convinto di essere finito in bancarotta; non seppe mai che non era così.

Ancora, il barone Paul Karl Langheim, industriale tedesco dell’acciaio, finì in fallimento a causa della sua vita dissoluta a base di feste ed efebi; non serve ricordare, poi, la morte di tutti gli appartenenti della famiglia di Gianni Agnelli (incluso il figlio Edoardo), che fu successivo proprietario, e la sorte del nipote di Jean Paul Getty, rapito dalla ‘Ndrangheta e restituito alla famiglia, dopo l’amputazione di un orecchio, solo in cambio di un riscatto di 17 milioni di dollari.

Infine, ultimo proprietario ne è stato Gianpasquale Grappone, rimasto coinvolto e condannato al carcere, nel 1978, nel fallimento della sua società di assicurazioni Lloyd Centauro.

Messa all’asta, per l’isola non venne fatta nessuna offerta anche perché, il giorno seguente, la moglie del proprietario, Pasqualina Ortomeno, morì in un incidente d’auto; da lì, l’intero sito è diventato ufficialmente proprietà della Regione Campania.

Ma non è tutto.

La maledizione continua?

All’interno del parco è presente una famosa residenza di privati, la Tenuta Ambrosio, a cui nemmeno è stato risparmiato un destino brutale.

Nel 2009, infatti, Francesco Ambrosio, 77 anni, e sua moglie Giovanna Sacco, furono ritrovati massacrati da una banda di balordi; il motivo? Un bottino di 50mila euro. Ambrosio era un imprenditore famosissimo nel napoletano, definito “il re del grano” e coinvolto, a sua volta, anche in alcuni procedimenti giudiziari importanti. Nel corso della sua vita era finito in carcere per ben 4 volte, oltre che tra i racconti dei pentiti di camorra. Figlio di contadini, era un uomo che si era fatto da solo, attraverso le sue intuizioni, nel mondo dell’import-export di cereali, sul quale aveva costruito un vero e proprio impero. Solo l’anno prima era stato condannato a 9 anni di carcere per bancarotta fraudolenta.

Ma non è ancora finita: la sua segretaria storica era morta dilaniata dall’esplosione della bomba dinamitarda posizionata nei pressi del circolo americano, nel centro di Napoli, il 15 aprile del 1988! Solo una casualità, certo, visto che si parla di tanti anni prima, eppure davvero incredibile.

La Gorgone

Infine, vale la pena citare un ultimo enigma che ha riguardato le mura di quella villa jellata.

Sembra che il senatore Paratore, spostando una tela anti-umidità, avesse trovato uno strano affresco raffigurante una testa, una Gorgone dalle fattezze abbastanza terrificanti, che decise di far murare. Il nipote, però, nel frattempo, era riuscito a scattare una fotografia che rimase a testimonianza di quel reperto: esaminata da un esperto, l’immagine è stata classificata come la raffigurazione di una Gorgone del secondo o terzo secolo d.C.

Ma c’è di più.

La serie di sciagure che si è abbattuta sull’isola, secondo alcuni superstiziosi, sarebbe proprio da imputare a quell’incauto ricoprimento.  La Gorgone, infatti, in età romana, era posta proprio a simbolo di protezione nelle case del tempo.

Nel parco archeologico circostante, inoltre, sono state anche trovate delle pareti affrescate in maniera conforme a quella figura, come se quel particolare simbolo fosse stato sottratto al sito originario e posto all’interno della vita volontariamente, forse proprio per proteggerla.

La verità, probabilmente, non la conosceremo mai.

Prospettive future

Oggi la villa della Gaiola è frequentata da tutti i bagnanti che, con poche bracciate, decidono di raggiungerla durante i bagni estivi; dal tramonto all’alba, però, resta sempre cautamente deserta.

Soprintendenza e Regione sembra siano interessate a recuperare da tempo lo scheletro della villa per dare vita ad un Centro Studi Interdisciplinare e ad una sorta di laboratorio di ricerca scientifica.

Ma cosa ci sarà davvero scritto nel futuro della Gaiola?

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