La leggenda di Megaride: riposo eterno della sirena Partenope

  • di Simona Vitagliano
  • 5 anni fa
  • Napoli
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Pensereste mai che nelle cartoline più iconiche nella città di Napoli o, magari, lungo la strada che percorrete al mattino per andare al lavoro incrociate con lo sguardo il luogo dove la metropoli moderna sarebbe nata, dove addirittura riposerebbero le spoglie della sirena Partenope?

È quello che afferma una antica leggenda che vorrebbe sull’isolotto proprio la tomba di questa figura mitologica.

Dove storia e leggenda si fondono e confondono

Partiamo dalla collocazione geografica: Megaride.

Inizialmente, un semplice isolotto poco distante dalla costa napoletana, poi diventato un tutt’uno con la terraferma grazie ad alcuni riempimenti a mare. Non molti sanno che quel piccolo lembo di terra è stato persino il rifugio di Romolo Augustolo, considerato l’ultimo effettivo imperatore romano d’Occidente, che fu relegato proprio lì dopo la deposizione nel 476 d. C. ad opera del generale barbaro Odoacre.

Oggi è il centro nevralgico di una movida molto elitaria, sede del rinomato Borgo Marinari – un tempo abitato solo da pescatori -, dei suoi ristorantini e delle sue poche case, con un perimetro praticamente scomparso sotto l’imponente struttura del Castel dell’Ovo, il più antico e misterioso castello di Napoli, le cui fondamenta risalgono addirittura al I secolo a.C.

Sarebbe proprio su questa antica propaggine naturale del monte Echia, in passato unita alla terraferma da un istmo roccioso, che sarebbe stata fondata Parthènope nell’VIII secolo a.C. per mano cumana. Ed è proprio da qui che il lungomare di quella frazione cittadina ha preso il nome di Via Partenope.

Ma passiamo oltre.

Secondo gli storici, il culto della sirena era già noto in Grecia orientale prima ancora della fondazione della città: “Partenope”, infatti, letteralmente significa “verginale” ed è stato il nome scelto proprio per identificare una delle sirene che veniva adorata nella Magna Grecia, soprattutto nel circondario di Sorrento e Punta Campanella; nel mare di quella che oggi è una Riserva Naturale, infatti, è ben visibile un mini arcipelago fatto di tre isolotti chiamato Li Galli (di cui il maggiore è a forma di delfino) che, spesso causa di naufragi, rappresentava in antichità il terrore dei naviganti. Finì, così, per essere pensato come la sede delle sirene ammaliatrici, prendendo il nome di Sirenai o Sirenussai.

Da qui, storia, mito e letteratura cominciano a fondersi poiché, come sappiamo, nell’Odissea di Omero viene raccontato il viaggio di Ulisse anche attraverso diversi territori campani (non ultimi proprio il mare della Costiera Sorrentina e il Lago d’Averno di Pozzuoli) ed il suo iconico incontro con le sirene: la leggenda che si era oramai tramandata di generazione in generazione raccontava di sirene che ammaliavano i marinai con il loro canto, inducendoli a schiantarsi contro gli scogli, motivo per il quale Ulisse ordinò ai suoi uomini di tapparsi le orecchie con la cera e di legarlo all’albero maestro della nave, raccomandandosi di non essere mai liberato anche di fronte a preghiere e suppliche indotte dalla perdita di lucidità; l’intento era di udire la dolce melodia senza correre il rischio di perdere, per questo, la vita. Le sirene che incrociarono il loro percorso, fallendo il loro intento, furono tre: Partenope, Leucosia e Ligeia. La sconfitta fu tale che, per il dolore, morirono tutte ed i loro corpi vennero trasportati dalla corrente: sarebbe proprio così che Partenope sarebbe finita per arenarsi sulle scogliere dell’isolotto di Megaride per poi essere ritrovata da alcuni pescatori che, incantati dalla sua bellezza, cominciarono a venerarla, intitolandole persino il piccolo villaggio allora presente nel circondario dell’attuale Borgo Marinari.

Oggi, una splendida fontana che la raffigura troneggia in Piazza Sannazzaro.

Altre ipotesi

Naturalmente, come ogni leggenda che si rispetti, esistono tantissime altre varianti sul tema che vogliono che il corpo della sirena mitologica riposi in moltissimi altri luoghi: esiste, infatti, una lapide misteriosa in marmo nella Basilica di San Giovanni Maggiore che viene ancora studiata da esperti e storici e che menziona il sepolcro, come chi ritiene che le sue spoglie si trovino al di sotto della  Chiesa di Sant’Aniello a Caponapoli e chi ne collega la storia a Santa Patrizia e San Gennaro

Ancora, alcuni testi storici riportano che i Cumani decisero di chiamare così l’antica Partenope proprio perché, durante gli scavi, ritrovarono una tomba regale con una scritta solenne: “Qui Partenope vergine sicula morta giace”. Altri ancora, invece, raccontano di una raccomandazione di Apollo e di una serie di altre ramificazioni del mito.

Un’identità poetica e misteriosa, insomma, quella di Napoli e delle sue origini, che non smette mai di meravigliare ed incuriosire, anche dopo millenni di storia.

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