Stufa a pellet e condominio. Cosa dice la legge?

Le stufe a pellet, ultimamente, sono diventate molto comuni tra le scelte degli italiani, alla  ricerca di dispositivi che offrano sicurezza, estetica gradevole ma anche economicità e zero emissioni.

Bruciando biomasse vegetali completamente provenienti da riciclo di legna, cippato e segatura, infatti, all’interno di una camera chiusa ermeticamente e che, quindi, non rilascia nemmeno fumi, particolato o polveri in casa, questi impianti offrono davvero un’ottima esperienza di utilizzo, senza contare che hanno letteralmente “salvato” molti inquilini residenti, ad esempio, nei 1800 Comuni nostrani ancora non metanizzati o in case di campagna isolate costruite in territori rurali. Dimore, insomma, dove un tempo erano concepiti soltanto i camini e dove le famiglie, in inverno, si riunivano dinanzi al focolare per sconfiggere il freddo.

Con le stufe a pellet – facendo oculati acquisti prestagionali – è possibile risparmiare, riscaldare grandi ambienti e, in qualche caso, persino cucinare cibi affumicati poiché sono già disponibili in commercio alcuni modelli dotati di forno. Ma se l’installazione della canna fumaria e dell’intero impianto è cosa abbastanza semplice nelle case indipendenti, cosa c’è da sapere in materia di condominio?

Riscaldamento green anche in città

Chi ha deciso di dire addio agli ingombranti termosifoni e di privilegiare una conduzione più sostenibile del riscaldamento in casa propria, in molti casi ha optato per le stufe a pellet. D’altro canto, si tratta di dispositivi che aumentano anche l’efficienza energetica (e quindi il valore) degli immobili, tant’è che sono previsti anche incentivi e agevolazioni fiscali per chi li acquista.

Ma quali sono le norme da conoscere per procedere ad una installazione?

La normativa “Generatori di calore alimentati a legna o altri biocombustibili solidi. Verifica, installazione, controllo e manutenzione” (UNI 10683/2012) stabilisce una serie di regole da rispettare che coinvolgono tutti i dispositivi alimentati a legna naturale o altre biomasse – quindi anche camini, termocamini etc – di potenza fino a 35 kW.

In realtà, non ci sono vincoli particolari se non quelli riguardanti il posizionamento della canna fumaria, poiché non si può prescindere da impermeabilità, coibentazione, isolamento (anche dagli scarti della combustione), materiali resistenti alle sollecitazioni meccaniche e alle temperature elevate (inclusi il contatto con i prodotti bruciati e le condense) e da una installazione nel rispetto delle distanze minime da prodotti infiammabili. Per questo motivo, tra l’altro, si deve valutare se interporre, ad esempio, materiale isolante o intercapedini in modo che tutto risulti a norma. Inoltre, la canna fumaria, qualunque sagoma riprenda, deve avere una sezione interna circolare (o al massimo con angoli arrotondati di raggio almeno di 20 millimetri), con sezioni rettangolari con rapporto tra i lati massimo di 1 a 5 ed un canale da fumo di collegamento alla stufa rispettante i precisi requisiti richiesti dalla normativa.

E per i fumi?

Affinché le stanze offrano sempre calore ma zero aria viziata, contaminata o inquinata dai fumi e dai prodotti della combustione, la scelta migliore da fare ricade, sicuramente, sui dispositivi a tiraggio forzato verso l’esterno (attraverso delle ventole) e, soprattutto, bisogna accertarsi che lo scarico avvenga soltanto dal tetto (quelli a parete non sono conformi), che la canna fumaria sia interna o esterna all’edificio.

In questo modo si potrà godere di ambienti comodamente riscaldati in maniera ecologica, senza rinunciare né all’estetica né alla praticità.

 

 

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