Sui bassi o vasci di Napoli si è scritto molto; ne ha parlato Matilde Serao, Eduardo De Filippo nella sua “Napoli Milionaria”, dove ci presentava – a mo’ di documentario – gli abitanti di quei tuguri come i classici di una cultura tutta partenopea che, nonostante “l’abbandono di dio e degli uomini”, riuscivano comunque ad andare avanti; e ne rimase incantato anche Boccaccio quando, nel 1325 condotto dal padre a Napoli all’età di dodici anni, ne rimase talmente colpito da descriverli addirittura nel suo Decamerone:
“…guardo quelle che siedono presso la porta delle loro case in via Capuana; di ciò gli occhi porgendo grazioso diletto…”.
E poi, in tempi più recenti, a citare i bassi in una sua opera è stato E.A.Mario, che nella sua canzonetta “O vascio”, declamava:
“…Se ospita una bella ragazza, esso è migliore di una reggia”.
Insomma, al pari del Vesuvio, della pizza, del sole e del mare, il vascio napoletano è considerato da artisti e cittadini stessi un pezzo della storia e della cultura di Napoli, e come tale va celebrato e decantato, anche se comunemente ritenuto un esempio di edilizia degradante.
Napoli, quando il ceto sociale si misurava dal “basso”
“O vascio” è generalmente un’abitazione composta di una o due stanzette, sita al pian terreno, e ricavata da antichissimi locali destinati a depositi, che in genere è possibile ammirare nei numerosi vicoli della Napoli del centro storico, come in alcuni paesini della periferia. In poco più di una dozzina di metri quadri solevano viverci famiglie di almeno 8 persone, riducendo il basso a una sorta di “dormitorio”: particolare che ha dato il via ad un processo di differenziazione sociale e ambientale delle zone destinate al basso ceto. Le piccole abitazioni con affaccio sulla strada, che animano maggiormente le strade di Napoli Centro e dei Quartieri Spagnoli, spuntano qua e là ai piani terra di antichi palazzi, dove, un tempo,i palazzi nobiliari dei Quartieri ospitavano la servitù: lavandaie, sarte, acconciatori d’ogni sorta ecc.. Tale uso, si è radicato in maniera cosi accentuata nel modo di fare dei napoletani che, ancora oggi, all’interno dei palazzi è possibile vedere una distinzione in “classi sociali”, tra le famiglia che vi abitano, a seconda dei piani occupati: l’avvocato al terzo piano, la famiglia dell’operaio al primo.
E’ stato stimato che nel 1881 i bassi fossero più di ventimila con circa 100.000 napoletani, nel 1911 sarebbero aumentati a 40.000, nel 1931 avrebbero ospitato addirittura 220.000 persone. La politica di italianizzazione del Fascismo non tollerò simili dati e iniziò a chiuderli, riducendo drasticamente il loro numero che, alla fine della guerra, sarebbe poi arrivata addirittura a 65.000 unità. Al giorno d’oggi, il numero si è drasticamente ridotto a 40.000 e sembra tristemente destinato a scendere, con il vascio che sta tornando pian piano a quella che era la sua funzione originaria, quella di magazzino.