La nascita del quartiere Fuorigrotta e la scomparsa dei rioni Paolina e Castellana

  • di Simona Vitagliano
  • 5 anni fa
  • Napoli
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Napoli è una città antichissima, che si è forgiata, distrutta e ricostruita centinaia di volte, in infiniti punti diversi del suo perimetro.

Come sappiamo, inizialmente era soltanto il centro storico ad essere fulcro nevralgico della vita cittadina e, addirittura, fuori dalla cinta muraria è stata vietata, per molto tempo, l’edificazione. Successivamente, con il vicereame spagnolo, qualcosa è cominciato a cambiare e c’è stata una prima espansione verso la parte occidentale.

Fuorigrotta, oggi, è uno dei quartieri più popolati della metropoli, interessata anche da poli universitari, dalla Mostra d’Oltremare e da tutta una serie di edifici, enti e plessi che la rendono un’area ricca di interessi; un tempo, però, la sua struttura era a carattere completamente rurale e, soprattutto, esistevano due rioni, il Paolina ed il Castellana, di cui oggi non c’è più alcuna traccia.

Cerchiamo di ripercorrerne tutta la storia.

La storia

“Fuorigrotta” è l’equivalente italiano del termine napoletano “Forerotta” che, letteralmente, significa “fuori la grotta”: il nome allude, ovviamente, alla posizione del quartiere che si trova collegato a Mergellina proprio attraverso delle grotte, oggi percorribili in automobile. La prima di queste  è la Crypta Neapolitana, realizzata in epoca romana ed oggi non più transitabile ma in parte visitabile all’interno del Parco Vergiliano, dov’è ubicata la tomba di Virgilio (oltre a quella di Leopardi) a Piedigrotta: in tempi antichi era un’arteria di un asse che collegava Napoli a Pozzuoli e all’area dei Campi Flegrei. Le altre due sono quelle oggi regolarmente utilizzate: la Galleria Laziale (risalente al 1927, quando fu aperta al traffico Via Nuova Bagnoli, per congiungere la Riviera di Chiaia con lo stabilimento Ilva) e il tunnel delle IV Giornate.

Fino agli anni ’20, l’intero circondario si presentava come una semplicissima zona a carattere agricolo: durante il ventennio fascista, poi, arrivarono i primi interventi urbanistici che avrebbero dato vita a Viale di Augusto, alla Mostra d’Oltremare, all’ampliamento del Rione Duca d’Aosta, alla chiesa di Santa Maria Immacolata e alla costruzione del Rione Miraglia di cui, ancora oggi, l’ingresso è coronato da un bel portale in stile neobarocco. Allo stesso momento storico sono da attribuire anche i nomi delle strade e dei viali che vennero costruiti, tutti ispirati a Roma antica (esempi ne sono Viale Augusto, Via Giulio Cesare o Via Caio Duilio) e alle lotte contro l’Impero Ottomano (come Via Andrea Doria, Via Sebastiano Veniero o Via Lepanto).

In particolare, nel 1931, Mussolini scelse Napoli – e proprio il quartiere Fuorigrotta – per la “Mostra triennale delle terre italiane d’Oltremare“, dando il via ad una massiccia bonifica del territorio senza eguali. L’evento fu il “La” per quello che, nel ’39, sarebbe stato un vero e proprio risanamento, se così si può chiamare, che demolì tutti i fabbricati contenuti nell’allora Rione Castellana, tra le odierne Via Campegna e Via Giulio Cesare. Furono abbattuti circa 7mila vani e lasciate in strada circa 15mila persone, senza che venisse preventivato alcun alloggio sostitutivo.

Scomparve anche il Rione Paolina, ormai quasi dimenticato, le cui case erano quelle più antiche di Fuorigrotta poiché anteriori al Seicento e, probabilmente, sorte dopo la costruzione della Grotta dei Romani (cioè la Grotta Vecchia): era qui che era ubicata l’ex caserma degli spagnoli, che faceva da spartitraffico tra Via del Castellano e Via Campegna, più o meno dove oggi si trova l’ufficio postale centrale di Via Giulio Cesare.

Via del Castellano era una strada che cominciava dalla Grotta Vecchia e conduceva in località Pilastri e, attraverso Via Taverna delle Rose, andava verso Agnano; a metà strada iniziava via Campegna che, a sua volta, si congiungeva con la via che da Coroglio portava a Bagnoli, Pozzuoli, Baia e Cuma, oggi scomparsa e parzialmente sommersa dal mare.

Una memoria non così antica eppure che conservano ancora in pochi.

L’insediamento edilizio più massiccio, comunque, arrivò soltanto con il boom economico che interessò gli anni ’50 e ’60 e fu proprio in quella occasione che il carattere rurale del quartiere venne quasi totalmente ed irrimediabilmente perduto: molte masserie superstiti, infatti, vennero demolite, a favore di una urbanistica più moderna e residenziale.

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