Via Chiaia e le origini di Napoli

  • di Simona Vitagliano
  • 5 anni fa
  • Napoli
  • 1

La conosciamo per lo shopping di lusso, il Teatro Sannazzaro e il ponte che collega la zona di Pizzofalcone ai Quartieri Spagnoli: e se vi dicessimo che Via Chiaia, un tempo, non era altro che il letto di un fiume, un alveo naturale?

No, non stiamo parlando del Sebeto e di tutte le leggende ad esso correlate, ma di un altro fiumiciattolo che, proprio da Pizzofalcone, si inoltrava verso il mare. Napoli, insomma, in antichità doveva essere decisamente più “acquatica”, bagnata non solo dal mare ma anche da fiumi e laghi oggi interrati o prosciugati (come il Lago di Agnano).

Ma quali sarebbero le testimonianze a supporto di questa teoria?

Palepolis

Sulle origini di Napoli si raccontano e tramandano tantissime storie, alcune fantasiose, altre più realistiche, passando per avventure di sirene, pescatori e tante culture di popoli diversi.

Certo è che l’antica Palepolis ha avuto origini greche: le mani di quei coloni hanno potuto toccare fisicamente l’acqua che scorreva in questo luogo – sembra strano persino a pensarci -, tant’è che vi si stabilirono proprio per una questione strategica perché, dicevano, si trovavano “tra tre acque“.

Una testimonianza che non trova più riscontro già dall’epoca romana, in cui questo corso d’acqua venne tramutato in una strada: era la “Via per i Campi Flegrei” che portava alla Domitiana, un collegamento fondamentale che metteva in comunicazione due zone lontane ma importantissime per scambi economici, culturali e mercantili; da lì, infatti, si arrivava direttamente a Roma.

Ma il fiume non è l’unica cosa ad essere scomparsa da Via Chiaia.

C’era una mastodontica porta a chiudere la strada, costruita nel 1500, chiamata Porta Petruccia (poi di Santo Spirito, data la vicinanza al convento di Santo Spirito, oggi non più esistente) che sbarrava l’ingresso alla città vecchia: veniva appellata anche Porta di Chiaia e Porta Romana (visto il tragitto a cui apriva) e venne abbattuta soltanto qualche secolo dopo (nel 1782) da Ferdinando IV (cioè Ferdinando I di Borbone). E fu proprio in quel momento che il circondario cominciò a popolarsi in maniera più massiccia, lasciando che la città si espandesse verso ovest, proprio come il re voleva.

Il Ponte di Chiaia

Il Ponte di Chiaia che vediamo oggi, nel frattempo, era stato costruito nel 1636 dal viceré Manuel de Acevedo y Zúñiga conte di Monterey (da cui inizialmente prese il nome) per collegare la collina di Pizzofalcone ai Quartieri Spagnoli; l’idea era anche di superare con maggiore agevolezza quella via che, in fin dei conti, era un vallone inutile tra le ricche ville della collina e il nascente quartiere (i Quartieri Spagnoli, infatti, erano sorti intorno al XVI secolo per accogliere le guarnigioni militari spagnole destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione napoletana).

Lo stile neoclassico che si riscontra, però, è arrivato solo in seguito: nel primo assetto, infatti, il ponte appariva piuttosto rozzo ed incompleto e, per arrivare al livello superiore della strada, si doveva utilizzare una ripida rampa che, ben presto, divenne un posto abbastanza malfamato; si pensò di risolvere con un grande crocifisso che incutesse rispetto ed illuminasse l’intero circondario. In seguito, il tutto venne restaurato nel 1834 per problemi statici e fu proprio in quest’occasione che acquisì questo stile e perse la rampa, che venne sostituita con una tromba di scale; ma non solo. Furono aggiunte decorazioni e fregi in marmo.

Attualmente il ponte si manifesta in un’unica arcata, anche se sarebbero due quelle che lo compongono, la seconda delle quali è “immersa” nei palazzi che sono stati costruiti successivamente; anche lo stemma dei Borbone ha lasciato posto a quello dei Savoia, dopo l’Unità d’Italia, e la scala è stata a sua volta sostituita dall’Ascensore Chiaia.

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